La Periferia Sociale. Riflessioni e Stile dalle Trincee della Grande Guerra della Mia Generazione

 

Dalle mie parti ci sono Cortili che sono uniti tra loro da passaggi che non tutti conoscono, ci vuole del tempo e una giovinezza fatta di fugotti dalla madama e giornate intere passate per strada per poter imparare quei percorsi.

Quando ero bambino ricordavo i muri dei cortili spartiti tra murales di artisti transitati chi sà come in quartiere e scritte delle Brigate Rosse o di Prima Linea, rimaste sbiadite sui muri fino a qualche anno fà.

Ho visto il Centro Commerciale mangiarsi i piccoli negozi, ed ecco che cosi spariscono franco il salumiere e franco il parrucchiere, il prestinaio e il pizzicagnolo, il negozio di strumenti musicali e la cartoleria dove comprare/rubare i botti.I desaparecidos del Capitalismo Lumbàrd

C’è stato il Centro Giovani e il Cts, un tempo funzionavano nonostante il degrado, ora il primo è un edificio desolante e poco sfruttato mentre il secondo sembra restare fuori dall’orbita del quartiere, nonostante sia posizionato quasi al centro.

Mi ricordo di un campo da basket sgarruppato, dove da ragazzini si pippava il tabacco da sniffo come se fosse colla, per sentirci grandi, per assomigliare agli uomini.

Ora il campo da basket c’è, anche più bello, accanto però ad una caserma di polizia e allora la parola “pippare” prende tutto un altro significato..

Nel posto dove sono nato è facile crescere senza un padre, c’è una generazione che tra eroina-malavita-politica conta sulle dita di una mano i sopravvissuti e fà i conti con generazioni di figli di mezzo della storia, noi che non avremo ne il ’68 ne il ’77, noi che siam nati tra gli anni ’80 e ’90,noi che malediciamo il 2000 per non averci neanche donato una catastrofe digitale.

Scrivere oggi che cosè una Periferia senza non essere faziosi o troppo romantici non è facile, sopratutto perchè si è perso il significato del linguaggio in questo Paese.

Ho conosciuto moltissime persone che sembravano nate tutte per Strada e tutte in Periferia poi mi sono reso conto di quanto ha giocato contro di noi ma a favore di altri questo immaginario negativo e ribelle della Periferia.

Nei testi di canzoni hip hop, nelle scene di film d’azione, nella letteratura ma come nella notizia,  alberga sempre questo “cattivo maestro”, la Periferia è un luogo dove succede sempre qualcosa di brutto ma “fa brutto” farne parte anche solo emotivamente.

Condividere su Internet link, indossare magliette con riferimenti allo stile malavitoso, esaltare l’azione di qualche Randa come soltanto la propaganda della grande guerra sapeva fare per poi trovarsi  con un mucchio di cenere in mano, quella della carta bruciata di qualche giornale che ancora una volta dipinge il luogo dove vivi in un posto invivibile, l’inferno della civiltà occidentale.

Ad oggi capisco come dovevano sentirsi i punk degli anni 80 quando sugli schermi delle tv Ken Shiro salvava il mondo post atomico da bande di odiati giganti casinisti con creste e borchie.

Quando sento gente parlare di Periferia come “quartiere antifascista o antirazzista” cerco sempre di premere il tasto Pause II , provare a spiegare che l’urbanizzazione e l’edilizia hanno voluto per noi un destino crudele, essere visti come la porta d’ingresso della Città di Milano ma essere considerati invece il buco di culo d’uscita di tutta la merda che questa cloaca può offrire.

Noi non saremo mai le Banliue parigine, siamo i sobborghi di Milano, la ciambella attorno alla città nera, dove al centro palazzinari e politici  decidono cosa costruire attorno, dove investire i soldi sporchi della Mafia, dei Caltagirone, dell’Industria Made in Padania.

Mi sveglio ogni mattina pensado ad una cosa, alla fortuna storta di essere cresciuto disgraziato in un quartiere come questo.

Penso ai riti di passaggio che ho dovuto affrontare, alla malavita che ti seduce come una puttana quando sei ancora vergine, alla voglia di urlare e di scappare da Quarto per poi trovarti ovunque nel mondo e parlarne bene, come mi è capitato di fare a Belfast in un pub o su una jeep in viaggio in Etiopia.

Già, proprio viaggiando nel mondo mi è capitato di capire il senso di tutto questo, attraverso le similitudini trovate ad ogni latitudine,quei modi che ti riportano a casa con un pensiero e ti fanno sentire bene.

Se mi affaccio alla finestra di casa mia al settimo piano di un palazzone anni ’50, restaurato solo all’esterno, vedo ancora i monti e quasi quasi se fai uno sforzo il Vivaio diventa una pineta di qualche località marittima.

Le vie del quartiere sono come quelle di un piccolo paese di provincia, magari del meridione o della brianza, pascarella diventa un boulevard con le luci delle giostre a giugno e via lessona un corso di quelli berlinesi.

Poi quando apri gli occhi sei a milano, anzi a Quarto Oggiaro.

Allora pensi a tante cose, pensi alle case che mancano e ai palazzoni pro expo che sorgono attorno e le tue montagne cancellano, le strade che si riempiono di disfatta e disfattismo,gli slogan neri che di  ingiustizia infangano i marciapiedi.

Pensi a tua madre che si volta l’oro per pagare le bollette e a quelli che van dal prete per avere il pacco con la spesa, i mercati rionali che lasciano frutta ammaccata sulla strada per rom e pensionati,

a quello che esce di galera e nulla è cambiato a quello che entra in galera perchè tanto nulla cambia.

“Lo stato manca, la mafia canta  e a milano è Quarto che comanda”,  i bambini con le magliette “Calci e Pugni” che magari di botte ne hanno prese tante, di quelle vere e che forse vogliono solo dimostrartelo,ingenuamente, con uno slogan che gli  insulta è basta.

Pensi alla “Vecchia Guardia”, che conoscevano il Rispetto, loro sopravvissuti al Ghetto di Varsavia dove il Nazionalsocialismo era l’Eroina e le Forze Alleate i Sert con il loro metadone for freedom.

Ai fiori per Puddo e Dodo, che in sella ai loro cavalli selvaggi come moderni indiani d’america, se ne sono andati giovani per diventare già memoria per un quartiere che piange accanto alle madri dei morti di droga.

Pensi a Pulce e alla sua Banda, lui già capo Bandito a 13 anni.

Se ti fermi, magari all’angolo tra Satta e Pascarella o sul ponte palizzi o ovunque in quartiere, puoi provare a farti una domanda: siamo sicuri che non sto già combattendo una Guerra?

Io, che di anni ne ho 27, mi sono dato una risposta.

Si, combatto una Guerra dentro una trincea, racchiusa tra la mia testa e ciò che vedo attorno a me, in questa Guerra la terra da difendere è il mio Quartiere, il nemico da combattere è il qualunquismo e l’iperindividualismo, combatto come un guerriero che toglie molte vite ma che in realtà combatte per risparmiarne.

Sono un Volontario per Quarto Oggiaro, un novello Garibaldino senza Camicia Rossa, un Partigiano senza parte.

Non sò se mi spiego, sto scrivendo una lettera dal fronte, potrebbe essere la prima e ultima.

Ho conosciuto i Veterani, quelli che si contano sulle dita di una mano, e ho provato ad osservarli per capire quanto sia diverso il Mondo dove combatto io rispetto al loro.

Così abbiamo preso le nostre nuove Armi, macchina fotografica e videocamera, per immergerci come reporter nella linea che separa la Narrazione dal Racconto, per creare questo bollettino dal fronte con l’idea che ci sia molto di più da raccontare rispetto a quanto abbiamo sentito o visto.

Ho provato mille volte a rinascere ragazzo di 20 anni nel 1977, purtroppo ho conosciuto l’aborto della mia generazione, reclusa tra Idea e Ideale, quando la prima è il mezzo per cambiare e la seconda è la scusa per non farlo mai.

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